Gli scavi borbonici

“Scavi di una piccola parte della distrutta Minturnae”: questa la dicitura riportata su una carta militare borbonica in corrispondenza del castrum dell’antica colonia. È un documento datato certamente dopo il 1836 (vista l’assenza degli edifici sul Garigliano che furono demoliti proprio in quell’anno) e che testimonia quindi di scavi archeologici precedenti quella data.

Questo non deve sorprendere, in quanto già dal XVIII secolo Minturnae era un “grande attrattore”, per viaggiatori ed artisti così come per collezionisti e appassionati di cose antiche. Tra questi spicca il nome di Antonio Canova, che nei suoi Diari, alla data del 23 gennaio 1780, cita proprio gli scavi in corso a Minturnae: “Si giunse poi poco prima del fiume Garigliano ove sono un grande acquedotto antico con avanzi di un grande palazzo e vidi che avevano cominciato a scavare per scoprire altri fondamenti, vidi anche un avanzo di una spezie di rotonda. Passassimo il ponte che traversa il detto fiume”.

Sappiamo poi da una nota del filologo, storico ed epigrafista Theodor Mommsen come Domenico Venuti avesse ottenuto il permesso di praticare scavi già nell’ultimo decennio del secolo: “Vi venne dunque, e il suo travaglio non fu infruttuoso. Trovò molti oggetti preziosi, come statue, fregi, lapidi ed altri simili monumenti”.
Nel 1787, Johann Wolfgang Goethe disegna le arcate dell’acquedotto.
Nel 1789, Carlo Labruzzi oltre l’acquedotto raffigura anche il teatro e l’anfiteatro e il suo mecenate Sir Richard Colt Hoare racconta in diretta lo scavo di tre iscrizioni prima del trasporto al Reale Museo di Napoli.
Al 1817 sono datati invece gli scavi del generale austriaco Laval Nugent e il reperimento delle sculture oggi conservate nel Museo di Zagabria.

Queste testimonianze fanno presumere che gli scavi borbonici siano stati effettuati certamente intorno al teatro e all’anfiteatro, ma anche sulla collinetta del Castrum, laddove la Carta militare riporta con un tratto rosso le strutture nel paesaggio, con un rosso più sottile i ruderi emergenti.

Ed è proprio grazie a tale accuratezza cartografica, assolutamente all’avanguardia per l’epoca ma tipica del Reale Officio Topografico del Regno di Napoli, che quello che sta per cominciare nell’Antica Minturnae sarà un viaggio a ritroso nel tempo, in cui cogliere e leggere nella terra anche i segni lasciati, due secoli fa, dai cercatori di oggetti antichi da destinare alle raccolte reali e per il fiorente mercato antiquario.

Statua di Afrodite tipo “Landolina” in marmo pario, conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Nota come Afrodite di Baia proviene in realtà dall’antica Minturnae. Restaurata da Antonio Canova.

Stralcio dalla Carta del Regno delle Due Sicilie. Realizzata certamente dopo il 1836, vista l’assenza degli edifici sul Garigliano demoliti in quell’anno.

Minturno Acquedotto, Johann Wolfgang Goethe 1787

Carlo Labruzzi, Anfiteatro di Minturno, acquarello 1789