l’Isolato Urbano
L’isolato venuto alla luce durante lo scavo comprende un complesso urbanistico omogeneo, realizzato secondo uno schema architettonico assiale per gli edifici sui due lati della via Appia: sulla sinistra il grande santuario urbano già riportato in luce negli scavi degli anni ’30 del secolo scorso, attribuibile a Venere Genitrice e quindi correlato alle origini della dinastia giulio-claudia; sulla destra un grande complesso architettonico identificabile come Augusteum.
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Nel Comprensorio demaniale erano già in luce due cardini ortogonali alla via Appia, affiancati da alti muri di delimitazione degli spazi ad essi interni verso il castrum: il cardine che dall’Appia portava al teatro, affiancato dal muro del temenos del tempio B, e il cardine che dall’Appia passava a ridosso della basilica sulla destra, e sulla sinistra portava al tempio L, anch’esso fiancheggiato da un alto muro.
Lo scavo nella nuova area ha portato in luce due cardini paralleli rispetto ai due già noti, anch’essi ortogonali all’Appia, delimitanti un ben definito isolato urbano delle dimensioni di mt. 46×130 (1,30×3,5 actus).
Il cardine speculare rispetto a quello che portava al tempio L (riportato in luce per una lunghezza massima di mt 8,15 sul lato est e di circa mt 15 sul lato ovest, e largo mt 12,7) è delimitato verso la parte interna dell’isolato da un muro in opera reticolata con ammorsature in blocchetti di calcare, analogo a quello già noto, conservato per una altezza di mt. 0,50 e spesso mt. 0,70.
Il cardine speculare rispetto a quello del teatro è stato individuato nel punto di intersezione con la via Appia.
A differenza della via Appia, realizzata in basoli basaltici, i cardini sono realizzati in basoli calcarei (presumibilmente delle vicine cave di Coreno).
Sul primo cardine è stato rinvenuta – in posizione di crollo – una porzione di muro con paramento in opera reticolata, probabilmente pertinente alla struttura che delimitava la strada sul lato opposto all’isolato in questione.
la Via Appia
L’immagine più suggestiva di questi scavi è senza dubbio la spettacolare deposizione di blocchi architettonici sui basoli della Via Appia per impedirne la percorribilità.
Questa “obliterazione” ci parla, forse, di un ultimo strenuo tentativo di difesa da nemici provenienti dal fiume, e certamente della fine di Minturnae e della via Appia romana, avvenuta tra il VI e l’VIII secolo d.C.
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Sulla direttrice del tracciato della via Appia scavata da Johnson, nella primavera-estate 2003 la Soprintendenza aveva condotto un’indagine volta alla verifica di alcune ipotesi stratigrafiche suggerite dalle vicende storiche del sito e dai dati derivati dall’osservazione delle strutture del complesso sacro del tempio del Divo Giulio e di quelle del c.d. tempio L, oltre che da indagini geofisiche effettuate dall’Università di Clarion in Pennsylvania.
Le aspettative iniziali, per quanto promettenti, furono ampiamente superate sin dai primissimi giorni di scavo, uno dei rari interventi scientifici condotti a Minturnae dopo la missione americana degli anni ‘30 o gli episodici interventi, inediti, condotti nel dopoguerra.
In modo del tutto eccezionale rispetto a quanto ci avevano abituato le ricerche del passato, è infatti emersa un’impressionante quantità di elementi architettonici e di materiali lapidei pregiati, pertinenti ad edifici pubblici monumentali posti lungo la Via Appia Antica.
Lo scavo del 2020 ha esteso l’indagine, documentando l’intersezione sull’Appia delle strade laterali, la presenza sul lato destro di una fontana pubblica analoga a quella già nota nel Comprensorio archeologico sul lato sinistro, e confermando il dato di obliterazione con materiali architettonici provenienti dagli edifici ad essa prospicienti, e con un potente reinterro databile in un arco cronologico ancora in fase di definizione, compreso tra il VI e il VII sec. d.C.
l'Augusteum
Sulla destra dell’Appia lo scavo ha portato in luce la vera novità – inaspettata e non prevedibile – che pone Minturnae in una nuova prospettiva tra le città romane del Latium adiectum: una grande piazza porticata su tre lati, aperta sulla strada da un accesso monumentale ad archi cui sono riferibili i grandi blocchi architettonici in pietra di Coreno affastellati sul basolato (semicolonne addossate a pilastri, capitelli, chiavi di volta degli archi), e chiuso sul lato di fondo dall’edificio già noto dagli scavi di Johnson, e dallo stesso denominato “Tempio L”.
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L’edificio occupa l’intero isolato sulla destra dell’Appia, con una lunghezza fronte strada di mt 45 ed una profondità di mt 130.
Lo spazio interno aperto è di mt 35 x mt 53 circa (1x 1,5 actus), mentre i tre portici che lo delimitano sono larghi mt 4,70 (14 piedi circa).
I portici avevano probabilmente una copertura a tetto ad unico spiovente verso l’interno, come evidente per la presenza di canalette in pietra per la raccolta delle acque piovane. Che tali spazi fossero coperti è attestato anche- oltre che da confronti con analoghi portici- dai resti della decorazione in stucchi e intonaci dipinti rinvenuti, in parte ancora in situ, in gran parte in giacitura di crollo all’interno del portico occidentale.
Sul lato di fondo il portico era articolato in due avancorpi, individuati a livello di fondazioni, coperte dal crollo delle coperture in tegole.
La configurazione porta a strette analogie con l’edificio di Ercolano oggi identificato come Augusteum, di epoca claudia.
L’identificazione nel nostro caso è confermata, oltre che dalla monumentalità del complesso, dall’assialità con il santuario sull’altro lato della strada, dalla presenza di una base (evidentemente per statua) al centro dello spazio aperto centrale, dalla struttura sul fondo (il cd tempio L di Johnson), con abside sul lato lungo esterno, e ambienti ipogei rispetto alla piazza ma al livello del cardine occidentale dal quale tali ambienti avevano accesso, possibilmente identificabili con l’Aerarium della città.
Per la datazione ad età augustea concorrono l’unitarietà della concezione urbanistica dell’isolato; la ristrutturazione della città e il rinnovamento edilizio con Augusto, attestata dai portici lungo la via Appia, dalla nuova piazza forense che fronteggia quella di età repubblicana, dal teatro; le decorazioni in stucco e intonaci dipinti dei portici che delimitano l’area centrale dell’Augusteum; e frammenti laterizi con bolli in cartiglio rettangolare di M. Arrius, rappresentante dalla famiglia degli Arrii, gens presente a Minturnae già in età repubblicana, ed i cui esponenti sono attestati in età repubblicana in tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna a Creta, dalla Gallia all’Africa; molti sono stati rinvenuti anche a Pompei, in opere pubbliche, e in età imperiale: ad Ostia, a Roma, a Ravenna, Bononia, Urbino, Pesaro (dove con tutta probabilità hanno una connessione con l’importazione del culto di Marica nel centro marchigiano).
il Santuario e le testimonianze delle fasi insediative
Lo scavo sulla sinistra della via Appia ha interessato un’area estesa fino al confine con il perimetro del Comprensorio archeologico, in corrispondenza del santuario urbano denominato da J. Johnson “Tempio B” e successivamente dallo stesso attribuito al culto di Cesare divinizzato, a seguito della scoperta della lastra marmorea con la dedica “Deivo Iulio populi romani e lege Rufrena” (CIL I,2 2972, esposta nel Museo di Minturnae).
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Scavi degli anni ‘30 del secolo scorso avevano portato in luce il temenos e il podio del tempio, oltre a strutture, tra cui una grande vasca ellittica, ricondotte- da recenti studi di H. Mandersheidt (Manderscheid 2016) – a presenza di acqua: un luogo quindi ove l’acqua (nei suoi vari aspetti ornamentali, lustrali, sacrali) ha un ruolo intrinseco, che richiama inevitabilmente i culti ancestrali celebrati nel santuario emporico alla foce del fiume, collegati alla divinità femminile identificata con Marica\\Diana\\Afrodite-Venere, ed evoca, per il grande santuario che sorge in posizione privilegiata e ben visibile dal fiume, sui resti dell’antico castrum, Venere, genitrice della dinastia Giulio-Claudia. Dallo stesso luogo provengono numerose statue tra cui un torso loricato di tarda età repubblicana esposto nel Museo del Comprensorio archeologico, una testa forse attribuibile a Cesare conservata nel Museo di Philadelphia (University of Pennsylvania, Museum of Archaeology), probabilmente la statua di Afrodite tipo Landolina al Museo archeologico di Atene (rinvenuta negli scavi borbonici).
Il grande complesso santuariale, o almeno il tempio, sorge sul castrum, inglobando ed obliterandone il muro perimetrale alla fine dell’età repubblicana.
Del primo impianto è visibile un filare di blocchi in opera quadrata di tufo su cui si imposta la struttura in cementizio del podio del tempio successivo.
Lo scavo attuale ha consentito di riportare in luce la grande scalinata di accesso dall’Appia che conduceva alla terrazza su cui si impostava il podio del tempio, e di definire le fasi del complesso sacro, grazie a tre rinvenimenti particolarmente significativi: una moneta, dal nucleo della terrazza su cui sorgeva del tempio; tre blocchi in calcare con gli incassi di lettere bronzee pertinenti alla pavimentazione della stessa; una base di colonna sepolta in una grande fossa (solo parzialmente esplorata per motivi di sicurezza) anch’essa ricavata sul piano della terrazza al colmo della scalinata di accesso dalla via Appia.
La moneta, datata all’anno 11/12 d. C, ci riporta- nelle modalità di rinvenimento- ai riti di fondazione del nuovo santuario.
Le lastre pavimentali (tre blocchi non in situ tranne forse solo uno) sono parte di una grande iscrizione dedicatoria:
L(ucius) Lu[- – -] L(ucii) f(ilius [- – -] et C(aius) A[- – -]
I due nomi e la “e” di congiunzione lasciano ipotizzare che si tratti probabilmente dei duoviri, che finanziano e realizzano il nuovo complesso sacro inglobando quello più antico.
L’iscrizione è databile all’età augustea, per i caratteri paleografici desumibili, e per l’identificazione di uno dei due personaggi citati con Caius Arrius della importante famiglia degli Arri già presente a Minturnae dalla prima metà del I sec. a.C.. Gli studi in corso suggeriscono l’identificazione dell’ altro duoviro in L Lutatius della famiglia dei Lutatii, presente a Minturnae in età repubblicana.
La base di colonna, di età Flavia (probabilmente Domizianea) e le modalità di rinvenimento attestano un ulteriore rifacimento del complesso alla fine del I sec. d. C, consentendo di attribuire a questo edificio altri blocchi architettonici coevi rinvenuti sulla via Appia. Il “seppellimento” rituale (come per la moneta nel rito di fondazione) suggerisce un evento traumatico che ha portato alla distruzione del santuario, cosi come avvenuto secoli prima per il capitolium di età repubblicana distrutto da un fulmine e del quale una base di colonna fu sepolta nel pozzo realizzato con fini sacrali nei pressi del nuovo tempio, o come avvenuto in età augustea per i 29 cippi sacri danneggiati e incendiati nei violenti episodi di guerriglia urbana che accompagnarono gli ultimi tempi delle guerre civili, inglobati nel podio del tempio di Augusto.
Purtroppo lo scavo non ha fornito elementi per identificare tale evento, né ha fornito indicazioni su successivi interventi di restauro del complesso, così come non abbiamo dati per il santuario fino al IV- V secolo quando la scalinata e la terrazza vengono riutilizzate per un nuovo insediamento. Gli scavi Johnson purtroppo non documentano le stratigrafie successive alle strutture “classiche”, quindi non possiamo sapere se anche il tempio vero e proprio, l’area circostante e i tre lati porticati del temenos siano stati interessati dal nuovo utilizzo.
Le strutture tarde (almeno dalla fine del IV sec. d. C. in poi, fino al VI-VII) testimoniano un’altra storia, un’altra fase non meno importante di quella pienamente romana.
Lo studio delle iscrizioni onorarie e lo scavo nel 2003 della Basilica civile attestano infatti una vita attiva della città fino all’età costantiniana, quindi agli inizi del IV sec. d. C.
Non abbiamo più dati per tutto il IV secolo, tranne l’iscrizione (Bellini-Zagarola 2017, n.3), databile alla metà del secolo, incisa su un blocco architettonico di riutilizzo, forse proveniente dalla basilica civile.
Che la vita a Minturnae continui è però testimoniato nel V secolo da due iscrizioni: la lastra marmorea con iscrizione AE 1982, 15411 in onore dell’Imperatore d’Oriente Teodosio II e di quello d’Occidente Valentiniano III, commissionata da Nicomaco Flaviano iunior, importante rappresentante dell’aristocrazia pagana di Roma, databile tra il 432 (anno in cui Nicomaco assume la sua ultima carica pubblica) e il 450 (anno della morte di Teodosio II), e la tabula patronatus di Flavio Teodoro primo documento archeologico che attesta la presenza cristiana a Minturnae.
Nel 499 al Sinodo indetto da Papa Simmaco partecipa, tra gli altri, il vescovo di Minturno Celio Rustico (Theodor Mommsen, Acta synhodorum habitarum Romae. A. CCCCXCVIIII DI DII, in Monumenta Germaniae Historica, Auctorum antiquissimorum, XII, Berlino 1894, pp. 399–415)
Nel V secolo Minturnae è cristiana e sede episcopale.
Le strutture che si sovrappongono alla scalinata e alla terrazza del santuario potrebbero quindi appartenere a questa fase, tanto più se lette unitariamente ai rifacimenti di un complesso edilizio che sorge su questo lato del castrum, sul lato opposto del cardine che delimita l’isolato del santuario verso il fiume, e all’eccezionale rinvenimento di una lucerna in bronzo con ansa sormontata da croce commissa e braccia patenti provenienti dalla stratigrafia superficiale di questo edificio, convenzionalmente denominato “domus del castrum”
la Domus del castrum
Nello scavo sono state evidenziate le strutture perimetrali di 13 ambienti pertinenti probabilmente ad una singola domus, utilizzata nell’ambito di un ampio arco cronologico che, sulla base dei materiali rinvenuti e dei rapporti stratigrafici, si estende dall’età tardorepubblicana (I sec. a.C.) ad una fase tardoantica-altomedievale.
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Le strutture riportate solo parzialmente in luce sono pertinenti ad un impianto che comincia nella prima età imperiale, come testimoniano i lacerti di un grande mosaico pavimentale, e sono correlabili alle strutture visibili immediatamente all’interno del Comprensorio archeologico, attribuite da Mandersheid (Manderscheid 2016) ad una abitazione di pregio.
Alla fase tardorepubblicana sono infatti riferibili il rivestimento pavimentale in tessellato, messo in luce sul versante settentrionale del settore, caratterizzato da tessere nere e dadi bianchi che presenta resti di un riquadro, decorato con treccia a due capi, con ogni probabilità fascia decorativa che perimetrava un impluvium.
Tale rivestimento pavimentale è tagliato ed intercettato da una serie di strutture murarie, esposte per un’altezza non superiore a 0,25/030m, realizzate a partire dal periodo imperiale fino almeno al tardoantico.
Sul versante meridionale, le strutture murarie appena evidenziate presentano consistenti tracce di intonaco dipinto.
Nella impossibilità di una lettura completa dell’edificio, è interessante notare la continuità di vita con ristrutturazioni interne che hanno portato all’obliterazione e sezionamento del pavimento musivo e alla riduzione della vasca dell’impluvium.
Tra i materiali che confortano la cronologia vanno segnalati anche frammenti di anfore databili tra il IV e il VII sec. d. C. e frammenti di anfore di questo arco cronologico provengono anche dagli strati superficiali di livellamento del santuario. La presenza di queste anfore conferma il dato offerto dall’analisi tecnica delle strutture: per il santuario, la defunzionalizzazione almeno dal V secolo e il riutilizzo con nuove costruzioni; per la domus, una lunga vita con variazioni negli spazi interni, ben documentate dalla sovrapposizione di muri al pavimento in mosaico della grande sala del primo impianto e la riduzione della vasca dell’impluvium.
Ulteriormente interessante è il fatto che tra i frammenti di anfore uno, databile al III-inizi IV sec d.C., presenta consistenti tracce di malta che ne attestano il riutilizzo come materiale edilizio, a conferma di fasi edilizie più tarde. Altro dato significativo è la provenienza africana delle anfore, a testimoniare la persistenza di traffici commerciali trans marini con le province del nord Africa ancora nei secoli dal V al VI e dal Mediterraneo orientale per il reperto più tardo (databile fino alla metà del VII sec d.C.)
Al VI-VII secolo d. C e allo stesso luogo di rinvenimento del frammento di anfora proveniente dal Mediterraneo orientale ci riporta un altro reperto restituito anch’esso dallo strato di abbandono della domus del castrum: la bellissima lucerna bizantina in bronzo, monocline, contraddistinta sull’ansa da una croce commissa (o a T, con la traversa sovrapposta al montante verticale) e braccia patenti (con le estremità che si allargano verso l’esterno).
le Domus Repubblicane nell'area dell'Augusteum
Attraverso approfondimenti stratigrafici mirati, lo scavo ha portato alla luce alcune fasi precedenti l’impianto del complesso architettonico di epoca imperiale. Si tratta di pavimentazioni cementizie di epoca tardo repubblicana relative a strutture abitative private, che furono oggetto di esproprio/confisca nell’ambito della ascesa di Ottaviano dopo la battaglia di Azio, le cui aree acquisite al demanio pubblico furono utilizzate per l’edificazione del nuovo complesso.
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I resti di queste domus sono indiziati da lacerti pavimentali rinvenuti nella porzione meridionale, immediatamente a nord del c.d. tempio L, e nella porzione occidentale, sotto le fondazioni del lato lungo del portico ovest. Nella parte sud, a ridosso delle strutture settentrionali del c.d. “Tempio L”, la rimozione dei livelli di interro ha restituito un pregevole piano pavimentale in cementizio a base fittile decorato con meandro di svastiche alternate a quadrati decrescenti e rosetta centrali, con fascia centrale decorata con reticolo di rombi realizzati con inserti lapidei bianchi, databile tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C.
Ad est del manufatto sopramenzionato, è stato rinvenuto un piano pavimentale in tessellato bicromo a decorazione geometrica, con bordo in tessellato monocromo nero a ordito a filari paralleli e campo in tessellato monocromo bianco sempre a ordito a filari paralleli, databile tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C.
Per quanto concerne il secondo gruppo di pavimenti lungo il portico occidentale è stato possibile individuare un piano pavimentale in cementizio a base fittile, decorato da un punteggiato di inserti lapidei neri e bianchi, databile tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C.
A nord di questo, diviso da un muro del quale si conserva solo la traccia della rasatura, è stato evidenziato un piano pavimentale in cementizio a base mista con fascia in tessellato monocromo nero a decorazione geometrica con ordito a filari paralleli. Databile tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C.
Un terzo piano pavimentale, contiguo a quello appena descritto, è in cementizio a base mista decorato da un punteggiato geometrico di tessere musive bianche, e databile tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C.
Come le altre testimonianze rinvenute al di sotto la Basilica, del Ponderarium e in altri punti del Comprensorio archeologico sulla destra dell’Appia, i resti di queste domus documentano l’espansione abitativa di pregio della città oltre le mura del castrum alla fine del II secolo a. C., probabilmente appartenute agli oppositori di Ottaviano.
il cosiddetto Tempio L
Lo stato attuale del monumento è il risultato di una o più esplosioni legate agli eventi occorsi tra il 1943 ed i primi mesi del 1944, periodo durante il quale Minturno si ritrova ad essere un caposaldo della Linea Gustav: le strutture, con tutta probabilità utilizzate come magazzino o riparo provvisorio delle truppe, furono minate dall’interno determinando il collasso dell’intero sistema voltato ed il crollo delle pareti del prospetto occidentale. Fino a quel momento, come peraltro testimoniato da alcune fotografie eseguite dal team coordinato da Johnson, l’edificio era in buone condizioni: le immagini d’archivio ne mostrano infatti l’estradosso perfettamente in piano ed il prospetto occidentale in opera laterizia, costituito da tre accessi semplici sormontati da piattabande, con soglie in calcare.
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Unico edificio già riportato in luce negli scavi condotti da Johnson, è un monumento pubblico imponente, forse riferibile all’Aerarium o all’edificio di culto principale dell’Augusteum. È costruito per buona parte in opera mista ma con cospicue porzioni in opera laterizia, elementi indiziari piuttosto concreti che sembrano definirne almeno due distinte fasi. È un edificio a pianta rettangolare con il lato lungo meridionale absidato. L’abside e la stessa struttura si trovano in una precisa connessione assiale con il basamento all’interno della piazza con l’accesso alla stessa dalla via Appia e con il Santuario urbano, all’interno di una ben definita organizzazione architettonico-urbanistica occupando interamente un isolato della città.
I rilievi di Johnson descrivono anche la parte interna della struttura, tripartita e coperta da altrettante volte a botte, a definire dei corridoi ciechi (e probabilmente tra loro comunicanti) orientati in senso ortogonale alla freccia dell’abside. Durante la campagna di scavo si è provveduto ad una massiccia bonifica vegetale ed alla rimozione di un notevole quantitativo di detriti edilizi ed immondizia recente. La pulizia ha riportato alla luce l’assetto planimetrico dell’edificio evidenziando le notevoli volumetrie delle porzioni in crollo, nello specifico quelle laterizie relative al prospetto occidentale e gli imponenti conglomerati cementizi delle volte, collassate all’interno.
il nuovo Cardine ad Est dell'Augusteum
Altro elemento di estremo interesse per la comprensione dell’urbanistica cittadina è dato dal rinvenimento di uno dei cardini ortogonali alla via Appia. Quello rinvenuto nella campagna di scavo 2020 completa la scansione dimensionale dell’isolato nel quale è contenuto il complesso dell’Augusteum.
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Il cardine rinvenuto sul lato occidentale della grande piazza è basolato in elementi litici in calcare ed è in pendenza verso la via Appia. Conservato per buona parte, ad eccezione di una porzione di basoli asportati, è obliterato da un muro in opera reticolata, perfettamente “adagiato” sul sedime stradale forse a seguito della sua demolizione.
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